Francesco De Gregori – Guarda che non sono io – Con Testo e Interpretazione
Guarda che non sono io è la settima traccia dell’album Sulla strada, pubblicato da Francesco De Gregori il 20 Novembre 2012.
Il brano è una perla di semplicità e grazia, nel solco delle produzioni più riuscite del cantautore romano. La melodia si appoggia su un tappeto di archi ed è il suono limpido del pianoforte che fa da contrappunto alla voce.
Il testo è una ideale lettera ad ogni ascoltatore innamorato del De Gregori artista. Un avvertimento dolce e disincantato ai fan che – come spesso accade – non possono fare a meno di circoscrivere e limitare la “persona” a ciò che scrive. Un artista è molto più di questo, perché non sempre, non pienamente, scrive e descrive se stesso: a volte chi crea un’opera (che sia essa un romanzo, o una fotografia, o una canzone) ci mette dentro se stesso e il proprio modo di guardare il mondo, ma non è detto che lui stesso coincida perfettamente con ciò che ha creato. E, soprattutto, oltre l’artista c’è l’uomo, e pretendere di conoscerlo e riconoscerlo sulla base di ciò che lui sceglie di mettere in ciò che fa è compiere un atto di semplificazione e superficialità che forse, nel caso di De Gregori, dopo tanti anni arriva a stancare.
Guarda che non sono io mette in guardia l’ascoltatore contro l’illusione di aver trovato nel cantante l’uomo perfetto, quello che ha imparato ad amare attraverso le sue canzoni: “Guarda che non sono io/quello che stai cercando/Quello che conosce il tempo/E che ti spiega il mondo”. Il cantante non è dio, non è onnisciente, non è infallibile, e non è una entità reale che si può paragonare alle persone che uno frequenta davvero, il cantante non è “Quello che ti perdona e ti capisce/Che non ti lascia sola/e che non ti tradisce”. Il che ha anche un risvolto bello e positivo, perché una canzone non può starti accanto fisicamente (“Guarda che non sono io quello seduto accanto/Che ti prende la mano e che ti asciuga il pianto”).
Chi sa scrivere cose che parlano alla gente, che parlano a ciascuno di noi, che ci raccontano quello che ognuno prova o ha provato almeno una volta, finisce per essere un amico, come se avere una voce che ti riempie casa e ti accompagna mentre cammini per strada, mentre vai a lavoro, mentre prendi un treno, creasse una intimità (senza che si arrivi però a capire che si tratta una intimità illusoria e soprattutto è mono-direzionale: la prova l’ascoltatore verso il cantante, ma il cantante non può di contro conoscere chiunque lo ascolti). Questo processo arriva al punto che un incontro fortuito e casuale diventa un ritrovare una persona per noi cara “Cammino per la strada/Qualcuno mi vede/E mi chiama per nome” a cui ci si rivolge saltando convenevoli e formule di cortesia, chiamandolo per nome. Una occasione per chiedere, chiarire quel verso che ci si è sempre chiesti chissà che significa (“Si ferma e mi ringrazia/Vuole sapere qualcosa/Di una vecchia canzone”) senza magari nemmeno domandarsi se dall’altra parte c’è poi tutta questa voglia, tutto questo bisogno di raccontarsi, di raccontare, di riconoscere una intimità che in effetti non c’è: a camminare per strada non è l’artista – che immagina pensieri e canzoni – ma è l’uomo, che va a fare la spesa, che deve correre a casa (“Ed io gli dico/Scusami però non so di cosa stai parlando/Sono qui con le mie buste della spesa/Lo vedi sto scappando).
L’artista non può fare a meno di scrivere e comunicare, ma ciò che la gente fa con quello che crea non è un suo problema e se uno ha l’illusione di poter dire “ti ascolto sempre, ti conosco” deve sapere che si sta sbagliando “Se credi di conoscermi/Non è un problema mio” e non è un modo di dire, o un vanto o una posa: è altrettanto evidente e reale della pioggia che cade e che ti bagna “E guarda che non sto scherzando/Guarda come sta piovendo/Guarda che ti stai bagnando/Guarda che ti stai sbagliando/Guarda che non sono io”.
È un avvertimento, non una minaccia: è il vecchio saggio che mette in guardia contro un facile errore, dall’illudersi di aver capito cose che non sono vere (“Guarda che non sono io/quello che mi somiglia/L’angelo a piedi nudi/o il diavolo in bottiglia/Il vagabondo sul vagone/La pace fra gli ulivi/e la rivoluzione”).
Emblematico è il verso “Guarda che non sono io la mia fotografia/Che non vale niente e che ti porti via”: incontrare un artista, un cantante, e andarsene via con la fotografia e magari l’autografo, non significa essersi portati via un pezzo di lui.
Nella frase “Guarda che non sono io”, l’io di cui si parla è il vero Francesco De Gregori: l’uomo, l’individuo. Che è molto altro e molto di più – nel bene e nel male – di ciò che può essere Francesco De Gregori il cantautore.
Il testo di Guarda che non sono io
Guarda che non sono io
quello che stai cercando
Quello che conosce il tempo
E che ti spiega il mondo
Quello che ti perdona e ti capisce
Che non ti lascia sola
e che non ti tradisce
Guarda che non sono io quello seduto accanto
Che ti prende la mano e che ti asciuga il pianto
Cammino per la strada
Qualcuno mi vede
E mi chiama per nome
Si ferma e mi ringrazia
Vuole sapere qualcosa
Di una vecchia canzone
Ed io gli dico
Scusami però non so di cosa stai parlando
Sono qui con le mie buste della spesa
Lo vedi sto scappando
Se credi di conoscermi
Non è un problema mio
E guarda che non sto scherzando
Guarda come sta piovendo
Guarda che ti stai bagnando
Guarda che ti stai sbagliando
Guarda che non sono io
Guarda che non sono io
quello che mi somiglia
L’angelo a piedi nudi
o il diavolo in bottiglia
Il vagabondo sul vagone
La pace fra gli ulivi
e la rivoluzione
Guarda che non sono io la mia fotografia
Che non vale niente e che ti porti via
Cammino per la strada
Qualcuno mi vede
E mi chiama per nome
Si ferma e vuol sapere
E mi domanda qualcosa
Di una vecchia canzone
Ed io gli dico
Scusami però non so di cosa stai parlando
Sono qui con le mie buste della spesa
Lo vedi sto scappando
Se credi di conoscermi
Non è un problema mio
E guarda che non sto scherzando
Guarda come sta piovendo
Guarda che ti stai bagnando
Guarda che ti stai sbagliando
Guarda che non sono io
Il testo oltre che essere una ideale lettera ad ogni ascoltatore innamorato del De Gregori artista, secondo me è anche una ideale lettera che potremmo recitare a qualsiasi persona a noi vicina… per quanto possano pensare di conoscerti, mai nessuno potrà sapere come e cosa sei, tant’è che sovente sfugge anche a noi stessi. Rosanna
Hai davvero ragione, non ci avevo pensato. Grazie!
Ciao Francesco (DeGregori)! Spero che qualcuno ti invii il mio messaggio:
“Scusami per una cosa che io ho fatto moooolti anni fa e per questo tu non uscivi sul palco … mi vergogno … io non ero veramente io … ti prego di scusarmi. Grazie di cuore per questa canzone …
Ciao Gabriele, penso che tu ti riferisca al Palalido di Milano 1975. Cerca di farglielo avere questo messaggio, lui in una recente intervista ha manifestato il desiderio di sapere perchè di quell’episodio.